INTERVENTO DEL CONSIGLIERE NAZIONALE FORENSE
AL CONVEGNO “RICOSTRUIRE LA GIUSTIZIA”
CORTE DI APPELLO DEGLI ABRUZZI
(L’Aquila, 10-11 MARZO 2017)

            Signor Presidente, , Signor Procuratore Generale,
Autorità , care Colleghe e cari Colleghi, Magistrati Tutti,

il Consiglio Nazionale Forense ritiene  che i diversi sentieri che portano ad un sistema di giustizia responsabile ed equo si siano finalmente incrociati.

Per molto tempo vi è stato, e certamente ancora vi è,  chi ha pensato, e pensa, di poter tracciare da solo la strada di un modello di società, di forme di economia, di selezione  dei diritti da tutelare, o da sacrificare.

E’ una tentazione in cui è caduta la politica, spesso troppo impegnata nella ricerca del consenso facile per poter percepire il Paese reale; vi è caduta la magistratura, assumendo in alcune occasioni posizioni autoreferenziali ed acritiche sui confini della propria funzione e vi è caduta l’avvocatura, ingessando a lungo la propria professione su modelli stereotipati e non attuali.

Ognuno di questi tre soggetti ha tracciato una propria strada, individuando e ritagliandosi una propria meta, senza riconoscere negli altri i necessari compagni di viaggio.

In questo cammino, fatto di sospetti, di presunzione e di pregiudizi, si è finito con lo smarrire quello strumento  fondamentale  di crescita intellettuale e democratica che è l’esercizio del dubbio, il dubbio che forse anche l’altro possa avere la sua parte di ragione, il dubbio che forse nessuno può essere detentore della verità, né può ergersi a censore, il dubbio che forse il sistema dei diritti fondamentali e la tutela dei soggetti deboli debba essere la meta di una sentiero comune agli attori del mondo della  giustizia.

Il Consiglio Nazionale Forense ha la netta percezione che le cose stiano cambiando, che i protagonisti necessari alla tutela dei diritti si siano resi conto di dover procedere assieme per un unico sentiero, un sentiero faticoso, un cammino in salita, stretto tra gli interessi di una finanza creativa globale, di un mercato senza regole, di un efficientismo economico spietato, di un linguaggio populista, di una ricerca del consenso che si nutre di paure, di rifiuto delle diversità, di delegittimazione.

E così la giustizia penale rischia di ridursi a giustizialismo mediatico, il processo civile ad un lusso per pochi, le garanzie a fastidiosi ostacoli alla decisione celere, non importa se giusta o meno.

E però le cose stanno cambiando: l’avvocatura istituzionale in questi ultimi periodi ha trovato un ascolto sereno da parte della politica, in tale direzione dobbiamo rimarcare l’impegno del ministro della giustizia per l’attuazione definitiva della legge professionale, per la centralità data al tema del carcere, per il disegno di legge sull’equo compenso che ridà dignità anche economica alla alta funzione del difensore, così come il tavolo costituito sul tema del sostegno alle colleghe e alle altre operatrici del diritto in maternità, e ancora il dovuto riconoscimento del ruolo degli avvocati nei consigli giudiziari, la centralità data alla giurisdizione forense con la negoziazione assistita, strumento deflattivo che pone al centro la professionalità e l’affidabilità dell’avvocato, ovvero  l’avvocatura come  risorsa su cui investire, piuttosto che come problema da eliminare con forme di decimazione economica.

Serrato è anche il dialogo in corso con la Suprema Corte e con il Consiglio Superiore della Magistratura, con i quali sono stati stipulati protocolli operativi, concreti,  fondati sul riconoscimento dei rispettivi ruoli, sull’incontro di aspettative ed anche di rinunce; insomma, sul progetto di una collaborazione di qualità, responsabile, non sindacalizzata, non autoreferenziale.

L’avvocatura è determinata nella volontà di percorrere il sentiero dei diritti assieme alla politica e alla magistratura, forte di un sistema ordinistico consapevole del proprio ruolo sociale che, pur con le inevitabili imperfezioni, si rivela sempre più un riferimento non rinunciabile per i cittadini e fonte generosa di interventi diretti a supplire alle carenze dello Stato.

Così come bisogna guardare con riconoscenza allo sforzo che stanno compiendo i consigli di disciplina per garantire la qualità anche deontologica della professione.

Del resto, deve  essere a tutti chiaro che vi è in atto uno strisciante fenomeno di erosione dei diritti deboli in quanto anti economici, che questa erosione non può che passare attraverso un attacco alla autonomia dei suoi attori, con la perdita di sovranità da parte dello Stato, di credibilità da parte della magistratura, della indipendenza dell’avvocatura dai potentati economici.

Il pericolo è un piatto e acritico recepimento di modelli che non appartengono alla nostra cultura giuridica e alla nostra idea di Società solidale: gli avvocati e i magistrati italiani non hanno nulla, o assai poco, da imparare da altri modelli, di questo dobbiamo essere insieme consapevoli, dobbiamo essere uniti nella difesa della nostra straordinaria capacità di fare sintesi  giuridica attraverso l’esercizio delle  garanzie e della dialettica processuale.

Certo, dobbiamo sempre più guardare a soluzioni operative migliorative, in linea con i progressi tecnologici e con nuovi modelli organizzativi, senza temere le innovazioni necessarie al mutare dei tempi, e per fare ciò la politica deve fidarsi di noi, deve fidarsi degli avvocati che ogni giorno calpestano le aule dei tribunali, dei magistrati che ogni giorno fanno udienze e sentenze, e se certamente  non è  questa l’avvocatura o la magistratura che frequenta media e studi televisivi, è sicuramente quella che da’ voce alle istanze di giustizia, quella che non si nutre di  teorie e costruzioni astratte, ma che sa quali siano i problemi di tutti i giorni.

Questa avvocatura e questa magistratura possono davvero suggerire soluzioni operative alla politica, e allontanare il sospetto, che a volte pure si affaccia, che chi ha scritto quella norma non abbia piena confidenza con la pratica effettiva dei tribunali.

E insieme dobbiamo vegliare e rifiutare  l’idea che una componente del sistema giustizia possa  fare da sola, o possa pensare d’essere migliore dell’altra. Dobbiamo combattere la spettacolarizzazione e la banalizzazione del processo penale. Dobbiamo contrastare le teorie di una Società fondata sul castigo e sul sospetto.

L’ho detto all’inizio: noi avvocati vogliamo camminare, consapevoli del nostro insostituibile ruolo di custodi dei diritti, insieme ai magistrati e alla politica, percorrere lo stesso sentiero, senza temere di ascoltare i compagni di viaggio, senza aver paura di aprire la via o di abbattere gli ostacoli quando necessario.

Forse ancora non tutti, tra avvocati, magistrati e politici ci seguiranno;
in questo caso ci sia consentito il dubbio  che siano costoro a sbagliare sentiero.

10 marzo 2017

Avv. Lucio Del Paggio
Consigliere Nazionale Forense